Ciao a tutt* e benvenut* al nostro nuovo progetto: Break the Silence! Da dove nasce l’idea e in che cosa consiste la nostra iniziativa? Tutto è iniziato qualche mese fa, quando siamo sfortunatamente incappati in un articolo de La Stampa che trattava il vaginismo in modo stereotipato, escludente, eteronormato e retrogrado (non inseriremo qui il link in questione perché non abbiamo la minima intenzione di offrire un maggiore traffico a un articolo del genere). Dopo lo sdegno causatoci da La Stampa, abbiamo iniziato a domandarci perché troppo spesso non si scelga di includere anche i/le dirett* interessat*. Perché parlare di vaginismo solamente dal punto di vista professionale, magari riferendosi esclusivamente alla propria esperienza di terapeuta, senza lasciar parlare chi lo vive in prima persona?
Ecco quindi l’idea dietro Break the Silence: raccontare situazioni (non amiamo la parola “problematiche”) direttamente dalla penna – o tastiera – di chi le vive sulla propria pelle. Sfruttando lo spunto non richiesto de La Stampa, oggi vogliamo quindi lasciare spazio a Maria e offrirle la possibilità di raccontare la sua storia, la sua esperienza e il suo modo di vivere, vedere e affrontare il vaginismo. Buona lettura!
Disclaimer: Maria non è un medico, l’articolo si riferisce unicamente alla sua esperienza personale.
Piuttosto che iniziare con una definizione di vaginismo, è più facile stabilire da subito cosa non è. Non è un’infiammazione. Non è un’invenzione. Non è una paranoia. Non è un capriccio. Non è una fissazione. Non è mancanza di coraggio. Il vaginismo è un disturbo sessuale che comporta ansia e paura della penetrazione (di toys, assorbenti interni, peni, dita ecc.), caratterizzato da una contrazione involontaria dei muscoli che circondano la vagina; non si tratta di una realtà “bianca o nera”, ma di uno spettro che passa attraverso diversi gradi e intensità. Non essendo io un medico, non mi dilungherò oltre nella definizione.

Il problema del vaginismo non è il vaginismo: il problema del vaginismo è tutto il resto. L’ostetrica che mi ha finalmente indirizzata verso una diagnosi mi ha fatto un esempio che per me è stato chiarificatore: “Fai finta che il vaginismo sia il diabete. È una malattia come un’altra. Non è colpa tua se ce l’hai. Una volta che lo sai, è possibile curarlo”. Semplice no? Beh, no. Cerco una risposta dai primi anni delle superiori e l’ho avuta solo dopo i 20 anni.
Nell’articolo de La Stampa a cui hanno fatto riferimento S. & C. si legge come il vaginismo sia appannaggio di donne “spaesate”, “che non si concedono di amare”, “incapaci di diventare grandi”: Houston, abbiamo un problema, e quel problema non siamo noi. Caro giornale, cara sessuologa che ha scritto l’articolo, la donna vaginismica ‒ ma quanto suona male? ‒ non per forza crede che tutto questo sia normale; non è una donna con la testa fra le nuvole che un bel giorno inciampa in un pene e si rifugia su un albero per la mancanza di educazione sessuale; non è una bambina a cui si è bloccata la crescita. Magari quella persona le risposte le cerca, ma troppo spesso quelle che trova da parte di chi dovrebbe aiutarla (ginecolog@, dottor@, psicolog@ ecc.) sono banali e inappropriate (“è nella tua testa, devi solo aspettare quello giusto, non esagerare, devi rilassarti” ecc.). È esattamente per questo che la diagnosi arriva ‒ se arriva ‒ dopo anni, nonostante l’unica tempistica necessaria sia la durata di una visita.
Dal vaginismo si guarisce: tuttavia, se non so di averlo, come faccio a curarmi? Com’è possibile se chi mi visita non mi ascolta e non mi prende sul serio? Nella mia esperienza, l’unica cosa che secondo me ci accomuna tutt@ è il senso di solitudine. Ci si sente così perché non solo è difficile farsi ascoltare da professionist@, ma intorno a noi si crea un vuoto, ci si sente divers@, sbagliat@, inadeguat@. Si arriva a pensare di essere l’unica persona al mondo ad essere così, e per questo si tende a chiudersi, a non parlarne con nessuno. Invece le persone con vaginismo esistono, sono tante e possono vivere vite normalissime e molto diverse tra loro.

Un altro mito da sfatare è questa spinta a riprodursi che, un po’ come lo Spirito Santo, si presenta alla donna e la spinge a voler affrontare le sue paure: non metto in dubbio che per molte sia così, ma continuare a perpetrare solo ed esclusivamente la narrazione della donna-madre o della donna-sposata taglia fuori una grossissima fetta di storie. Innanzitutto, non solo le donne possono soffrire di vaginismo, ma, come dice la parola stessa, chiunque abbia una vagina (ecco il perché di tutte quelle “@”, che vogliono comprendere anche le identità trans e non binarie); in secondo luogo, non tutte le persone con vaginismo sono donne etero, non tutte hanno o vogliono un@ partner, non tutte vogliono dei figli, non tutte sono allosessuali (alcune appartengono allo spettro asessuale).
Inoltre, vorrei che si abbandonasse questa visione eteropatriarcale per cui solo attraverso le mestruazioni, e successivamente facendo sesso penetrativo, si diventa donna: la sessualità è uno spettro ampio che ognun@ vive ‒ o non vive, non è obbligatorio ‒ in modi diversi, e la penetrazione è soltanto uno di questi. Personalmente, avrei voluto che qualcuno me lo dicesse prima: ho fatto sesso per molto tempo prima di sapere che quello era effettivamente sesso, anche senza penetrazione. Quando dicevo che il problema è tutto il resto, intendevo proprio questa intersezione tra più tabù, tra più discriminazioni: di sesso non si può parlare prima di una certa età; sei donna quindi esageri sempre un po’, stai calma e rilassati; sei donna quindi devi fare sesso penetrativo ma solo con l’uomo giusto, e poi avere dei figli; ti ascolto solo quando mi dici che hai un problema a riprodurti, perché un ipotetico figlio è già più importante di te; sei donna quindi è normale che tu senta dolore.
Sul ruolo di un@ eventuale partner ‒ che, cara sessuologa, può essere anche più di un@ ‒ tutto ciò che viene menzionato è il fatto che sia una persona (rigorosamente maschio) con relative problematiche e disturbi; perciò la donna con vaginismo sarebbe una sorta di infante che saltella ignara del mondo e sceglie come compagno una persona altrettanto saltellante e tra le nuvole. È al limite del ridicolo doversi soffermare su quanto sia offensivo, dannoso e irrispettoso affermare qualcosa di simile e farlo passare come fatto assodato e valido per tutt@, soprattutto dato che di vaginismo non si parla mai: carissimo giornale, se bisogna farlo in questo modo, riducendo la complessità delle nostre vite a un unicum fisso, caricaturale e stereotipato, allora è meglio evitare.
L’assenza o la scarsità di un’educazione sessuale inclusiva è sicuramente un fattore determinante: temo però che coloro che definiscono “rudimentale” la conoscenza della sessualità delle persone con vaginismo siano gli stessi individui che, nel momento di fare educazione sessuale e affettiva, si limitano a parlare di contraccezione, gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Sarebbe utile favorire riflessioni sulla decostruzione di concetti come “perdere la verginità”, “fare sesso” (per come lo si intende nel senso comune), “dolore” (il dolore non è normale, nemmeno la prima volta), promuovere l’inclusione di diverse identità di genere, orientamenti sessuali, modi di vivere la propria intimità, senza che ci sia una regola o una traccia predefinita.

Servirebbe analizzare e spiegare anche il concetto di consenso, che per chi soffre di vaginismo ‒ e per tutt@ in generale ‒ fa la differenza nel capire se un@ partner sta agendo violenza o abusi. Qualsiasi persona che insiste, per qualunque ragione, nel forzare un rapporto sessuale (anche senza l’uso di violenza fisica) non sta rispettando il consenso e per questo sta agendo un abuso. È utile ricordarlo anche a tutte le persone con vaginismo: avete – abbiamo ‒ tutto il diritto di dire “no”, sempre, senza eccezioni. Non siamo in difetto di nulla, e quindi non siamo in dovere di compensare qualcosa: siamo persone che sanno decidere con la propria testa. Questo vale con partner vari@, amic@, medic@: siamo persone valide, i nostri corpi sono validi, le nostre esperienze anche e come tali vanno ascoltate, accolte e rispettate.
Per concludere, vorrei sfatare anche la retorica classista per la quale, dopo la diagnosi, si impone alla persona di guarire, o lo si dà per scontato; curarsi dal vaginismo è possibile (quasi tutte le terapie hanno successo), ma anche costoso: le figure coinvolte possono essere diverse in base all’intensità ‒ ostetric@, sessuolog@, ginecolog@, fisioterapista, psicoterapeuta ecc. Non è scontato che chiunque possa permettersi la terapia, così come non è scontato che chiunque voglia intraprenderla. Siamo troppo abituat@ a sentire lo slogan “se vuoi, puoi”, a vivere tra un “sfida i tuoi limiti” e un “no pain, no gain”. Ebbene: ci si può anche fermare. Tirare il fiato. Rimanere lì. Ad ascoltarsi e aspettarsi. Non c’è nessun obbligo. Non c’è nessuna performance. Non c’è nessuna tempistica predefinita. Ci siamo noi, e questo basta.
Maria
Ci teniamo a ringraziare di cuore Maria per averci dedicato il suo tempo e le sue splendide parole: grazie per aver affrontato questo argomento in modo così delicato, approfondito ed empatico. Infine, grazie per aver parlato di vaginismo in maniera chiara e inclusiva, abbracciando virtualmente chiunque si senta sol* e si trovi in una situazione simile (ma non solo). Siamo certi che le tue parole saranno di supporto a tantissime persone!
Questo articolo è però solo l’inizio, perché Break the Silence non finisce qui! Il nostro progetto è rivolto a tutte le persone che desiderino aprirsi sul nostro blog e parlare di esperienze difficili che spesso e volentieri vengono sminuite o stereotipate, siete quindi liber* di scriverci in merito a qualunque argomento. Se desiderate rompere il silenzio e venire inclus* nelle future pubblicazioni, inviateci la vostra storia a sessolopotessi@gmail.com (l’anonimato sarà sempre garantito al 100%).
Speriamo che abbiate apprezzato quanto noi le parole e le riflessioni di Maria! Come sempre, lo spazio per i commenti è aperto anche a chiunque abbia domande, dubbi o feedback da inviare. Se desiderate invece contattarci privatamente, ci trovate su Instagram come @sessolopotessi o nella sezione Contatti di questo blog.
Buona sessualità a tutt*! ♥
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